L’architettura che non c’e’

“Seconda stella a destra, questo e’ il cammino…

Questa e’ l’isola che non c’e’ “

Ci arrivava cosi’ Edoardo Bennato alla sua Isola che non c’e’, al mondo di Peter Pan che non si vedeva eppure era li’, da qualche parte.

Anche in architettura ogni opera, ogni progetto parte da una creazione che ancora non esiste, se non in un punto indefinito della mente. Dal cervello l’idea scivola verso le dita della mano e poi esplode dalla matita sul foglio, trasformandosi in immagine.

Per i professionisti della “vecchia scuola” la visualizzazione del progetto si concludeva in quello schizzo, oppure con disegni piu’ elaborati, sempre realizzati a mano, riga squadra e chine (e colpi di lametta per eliminare le sbavature sul foglio).
Per fortuna questi architetti non sono ancora estinti e molti affidano la magia della visualizzazione ai disegni a mano.

“But Life still goes on” – giusto per citare un filosofo contemporaneo, Freddie Mercury -, la tecnologia avanza, negli anni la matita e’ stata affiancata e superata da programmi di visualizzazione tridimensionale (3D Studio Max per fare solo un nome su tutti, il programma piu’ usato), e i nuovi disegnatori si chiamano “3D Visualizer” o “Renderisti” .

Uno di questi “maghi” (per come la vedo io chi riesce a creare certe cose non puo’ che essere dotato di poteri magici) si chiama Filippo Previtali, si e’ trasferito a Londra anni fa con Rosy (la sua ragazza prima e sua moglie poi), architetto. Li’ ha avuto modo di far nascere interessanti collaborazioni, tra cui la piu’ importante e’ sicuramente stata la collaborazione con lo studio FUTURE SYSTEMS e il suo fondatore, il famosissimo architetto di origine polacca Jan Kaplicky – scomparso lo scorso anno, la sua avventura e’ stata raccontata nel film-documento, uscito da poco, “The Eye Over Prague”, “L’occhio su Praga”, del quale spero avremo modo di parlare meglio in un prossimo post.

Avrei preferito fare questa intervista davanti a un paio di birre in qualche pub di Soho o lungo il Tamigi, come ci capitava di fare quando avevamo piu’ tempo per vederci, ma per questa volta lasciamo fare alla tecnologia e affidiamoci a Skype…

Marco: Ciao Filippo. Come hai scoperto la passione per il 3D Visualizing?
Filippo: Giocando con un vecchio computer, un Amiga 1200. Ricordo che tra i vari videogame che mi passavano tra le mani mi capito’ di trovare un disco floppy con un piccolo programma.
Era una delle prime versioni di Imagine 3D. A quel tempo anche il solo creare una sfera era un traguardo…ma e’ bastato poco per farmi catturare dalla possibilita’ di creare ogni sorta di oggetto e atmosfera.
Da quel momento la mia attenzione e’ passata dai giochi ai programmi di grafica, passando via via attraverso tutte le rivoluzioni in questo campo.

Country Club a Konopiste – Repubblica Ceca

Marco: Come hai imparato? Hai frequentato dei corsi specifici oppure sei un autodidatta?
Filippo: Non ho mai seguito alcun corso. Mi sono formato sui libri ma quel che piu’ mi e’ servito sono state le notti passate a provare tutti i comandi, per capire come funzionavano. Ore passate davanti al monitor per vedere 2 cm quadrati dare vita alla tua fantasia. Oggi i corsi di 3D modeling e rendering non si contano e i software sono diventati via via sempre piu’ “user friendly”… Questo comporta una maggior competizione ma anche una maggior potenza e liberta’ di ottenere cio’ che si ha in testa. Oggi Internet e’ diventato uno strumento fondamentale per questo tipo di attivita’. Molti dei piu’ grandi artisti 3D scrivono su forum e si sono formati veri e propri luoghi di ritrovo dove scambiarsi opinioni e suggerimenti.

Marco: Hai qualche aneddoto da raccontare legato alle prime esperienze lavorative in Italia ?
Filippo: Il giorno che la passione per 3D divenne lavoro lo ricordo benissimo. Lavoravo a Venezia in una fotocopisteria e avevamo bisogno di mostrare la qualita’ di una nuova stampante. Io avevo da poco finito alcune immagini e le proposi al mio capo, che ne fu entusiasta. Un giorno un architetto passando per il negozio le noto’ e mi chiese se volevo lavorare in studio da lui. A quell’epoca studiavo all’Universita’, ma mi sembro’ un sogno poter trasformare una passione in qualcosa di remunerativo, cosi’ iniziai. Un concorso, poi un altro. Poi una sempre maggior richiesta da parte di altri clienti e cosi’ anno dopo anno, il mondo del 3D e’ diventato l’unico lavoro che fossi in grado di fare.

Marco: La “scoperta dell’Inghilterra” e la decisione di partire, perche’ ?
Filippo: Tutto merito di mia moglie. Io vivevo e lavoravo a Modena, dove mi ero trasferito da alcuni mesi. Il salario era molto buono in confronto agli standard, ma lei non riusciva a trovare un buon impiego come architetto.
Allora mi ha proposto di tentare l’esperienza a Londra. Io ero completamente contrario. Amavo Londra ma non mi piaceva l’idea di viverci, senza considerare poi la mia totale incapacita’ di parlare inglese (8 anni di francese che rimpiango ancora oggi). Mia moglie non mollo’ e per temporeggiare ho deciso di sfidarla. Le dissi che se voleva trasferirsi a Londra, doveva trovarmi un lavoro, visto non intendevo mollare un lavoro ben pagato e sicuro per gettarmi in un qualcosa di campato in aria.
Passo’ poco tempo, credo circa due settimane. Ricevetti la telefonata da uno dei director dei Future-Systems… Mi chiese se ero interessato a un colloquio lo stesso sabato.
Il giorno stesso ho comprato il biglietto e fatto il colloquio, e la mia avventura Londinese e’ iniziata.
(Potete leggere le esperienze di questa avventura sul blog di Rosy e Filippo, MIND THE GAP)

Interior design per residenza – Londra (progettista Rosy Strati)

Marco: Dopo tutto questo tempo passato a Londra avrai sicuramente fatto un bilancio. Quindi, che mi dici?
Filippo: Credo che 3 anni e mezzo non siano un lungo periodo, ma certamente sufficiente a fare un bilancio. Una cosa e’ certa, tutto quel che ho fatto lo rifarei immediatamente e ringrazio ancora mia moglie per avere avuto la forza e la ‘cocciutaggine’ di portarmi di forza in questa citta’.
Qui sono entrato in contatto con un modo diverso di intendere l’architettura e la sua rappresentazione. Qui ho avuto l’onore di lavorare fianco a fianco con Jan Kaplicky, che mi ha fatto capire molte cose sul mondo della creativita’. Forse sono stato soltanto fortunato ma a volte penso che Londra ti offra tutto cio’ di cui hai bisogno per esprimere te stesso… In qualsiasi forma d’espressione che una mente possa concepire.

Marco: Che programmi  usi?
Filippo: Per il mondo dell’architettura credo che 3DMax resti ancora il miglior software di modellazione e rendering, ma soltanto se affiancato da alcuni programmi e plugin come Rhinoceros, Vray, Photoshop. In ogni caso, con gli anni ho conosciuto artisti che, pur lavorando con programmi minori o poco conosciuti e supportati, erano in grado di produrre immagini fantastiche e comunicativamente perfette. Fortunatamente ancora oggi non sono soltanto i software a fare le grandi immagini.

Marco: Visto che sei un esperto, dammi il tuo parere su quale potrebbe essere il futuro del 3D Visualizing, o raccontami le ultime novita’ sul campo.
Filippo: Negli ultimi anni, la piu’ grande rivoluzione nel settore e’ stata sicuramente l’avvento della “global illumination” con tempi accettabili per il mondo professionale. Un tempo la simulazione reale della luce era ad appannaggio esclusivo di super computer e quindi impensabile per il mondo dell’architettura. Oggi qualsiasi programma, anche quelli  gratuiti, prevedono questo complesso calcolo, grazie  anche all’incredibile velocita’ con la quale i processori vengono aggiornati e potenziati.
Per quanto riguarda il futuro, sicuramente si puntera’ sulle immagini 3D. Spinto dal cinema e dall’avvento degli schermi 3D, il mercato della visualizzazione non puo’ rimanere indifferente a questa nuova potenzialita’. Se prima si offriva al cliente la possibilita’ di vedere su carta il suo progetto in versione foto-realistica, a breve si offrira’ la possibilita’ di camminarci e quindi di toccare gli stessi materiali da lui scelti. Molte societa’ sono gia’ all’avanguardia in questo campo, e’solo questione di tempo.

Progetti di furniture yatch design

Marco: Molti architetti, soprattutto quelli della “vecchia scuola”, pensano che oggi ci si affidi troppo all’architettura digitale simulata, che questo “abuso” ammazzi quella che e’ la “poesia”della progettazione. Personalmente penso che i render possano essere un aiuto eccezionale per il progetto, ma che comunque se non c’e’ un’idea valida e forte alla base, il render diventa un inutile abbellimento, come una piuma di pavone sul cappello di una vecchia signora sdentata. Paragoni strani a parte, che cosa ne pensi?
Filippo: Credo semplicemente che la pre-visualizzazione architettonica abbia svariate potenzialita’. In Italia, ho notato, ci si affida ai rendering principalmente per la rappresentazione del progetto in maniera piu’ o meno fotorealistica in modo da andare incontro a tutte quelle persone meno abituate e allenate alle piante e sezioni architettoniche. Qui a Londra, ma credo in UK in generale, la pre-visualizzazione architettonica viene considerata sotto piu’ aspetti, primo dei quali come strumento per gli stessi progettisti. Quando nel progetto in questione sono contemplati materiali particolari o dettagli non comuni, il rendering diventa uno strumento fondamentale per valutare i diversi effetti che essi comportano.
Vi sono poi studi professionali piu’ puntati sulla sperimentazione che utilizzano rendering di alta qualita’ per mostrare edifici o oggetti di design che difficilmente verranno mai prodotti ma che servono a questo mondo professionale come fonte di stimoli ed ispirazioni.
In genere, il concetto di “rendering” e’ un qualcosa di molto vasto e a mio avviso, erroneamente considerato come una semplice rappresentazione… Credo piuttosto che si debba concepire la pre-visualizzazione come l’anello di collegamento tra l’architettura pensata e quella costruita. Il rendering e’ spesso l’immagine che le persone terranno in mente fino al giorno in cui vedranno l’edificio costruito.

Set di posate per aerei – Alessi

Marco: Quale e’ il lavoro al quale sei piu’ legato, quello che ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Filippo: Raramente sono felice di un lavoro. Nel momento stesso della consegna, osservo l’immagine e vedo soltanto i difetti pensando a come migliorare la prossima volta. Ma se devo pensare alle maggiori soddisfazioni, senza dubbio tutti i lavori fatti con Jan Kaplicky con i Future Systems. Non tanto per la qualita’ dei rendering, piuttosto per i ricordi legati alle fasi lavorative, quando ogni meeting diventava un pretesto per parlare di design, architettura, moda, car-design, vino e cibo. Jan Kaplicky era una fonte inesauribile di stimoli e di idee.
Tra tutti ricordo le visualizzazioni per un Country Club ed una villa privata e quelle per una Concert Hall. In genere l’immagine piu’ significativa e’ sempre quella che non ho ancora fatto.

Marco: Grazie Fil, ci vediamo presto per due chiacchere nostre davanti a un paio di birre 🙂 !
Filippo: Sicuro 😀 !

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M.D.